Winner of the Pulitzer Prize

Acoma (Italian) | Guerre, voci, confessioni. Due conversazioni con Viet Thanh Nguyen

Giacomo Traina interviews Viet Thanh Nguyen for Acoma

Viet Thanh Nguyen insegna Letteratura americana, Studi etnici e Letterature comparate alla University of Southern California (USC) di Los Angeles. È autore dei saggi Race and Resistance: Literature and Politics in Asian America (2002) e Nothing Ever Dies: Vietnam and the Memory of War (2016, pubblicato in Italia da Neri Pozza), dei romanzi The Sympathizer (2015), The Committed (2021), entrambi tradotti in italiano da Neri Pozza, della raccolta di racconti The Refugees (2017) e dell’autobiografia A Man of Two Faces: A   Memoir, A History, A Memorial (2023). Ha curato l’antologia The Displaced: Refugee Writers on Refugee Lives (2018) e il volume della Library of America dedicato a Maxine Hong Kingston. È co-autore del libro per bambini Chicken of the Sea (2019). Ha scritto articoli e op-eds per le maggiori testate giornalistiche del mondo anglosassone, dal New York Times a The Guardian. Il suo esordio in prosa The Sympathizer ha superato da tempo il milione di copie vendute, è stato insignito del Premio Pulitzer per la narrativa ed è stato tradotto e pubblicato in più di trenta paesi del mondo. Nel 2024 vedrà la luce anche un adattamento televisivo prodotto dalla HBO insieme alla A24 diretto dal pluripremiato regista coreano Park Chan-wook, interpretato da Robert Downey Jr. e Sandra Oh.

Giacomo Traina ha conseguito un dottorato in Letterature, lingua e traduzione inglese presso Sapienza Università di Roma nel 2023. I suoi ambiti di ricerca sono la memoria della Guerra del Vietnam nella letteratura della diaspora vietnamita e le opere in prosa di Herman Melville. Ha pubblicato articoli su Ácoma e RIAS-Review of International American Studies. Al momento sta lavorando alla sua prima monografia, incentrata proprio sulla narrativa di Viet Thanh Nguyen.  

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“La voce contiene ogni cosa”. Dallas, 10 marzo 2022


Quando ci incontriamo nel lounge del Fairmont Hotel, nel centro di Dallas, Viet Thanh
Nguyen sta scrivendo qualcosa sul suo computer. È ancora presto, ma il bar dell’albergo è
già in piena attività. Prendiamo posto, immersi nel ronzio della musica di sottofondo e delle
chiacchiere degli avventori. Ben presto, gli eleganti soffitti del Fairmont iniziano a
riecheggiare di guerre, campi di rieducazione, rifugiati e confessioni. Ritagliando trenta
minuti dalla sua fittissima agenda, Nguyen risponde a tutte le mie domande sul linguaggio,
sulla struttura dei suoi romanzi, sulle “narrazioni falsamente autobiografiche” e altri
argomenti del genere.


GT Se anche The Committed, come The Sympathizer, è una confessione, chi è il
“confessore”?


VTN The Sympathizer è concepito come una confessione estorta in un campo di
rieducazione. In The Committed il narratore scrive la confessione di propria volontà, dal
manicomio, se così vogliamo definirlo. Ma l’uditorio a cui è destinata la confessione è
composto da tutte le persone che lo conoscono, dalla zia al maoista, giusto? Quando
pubblicherò il terzo e ultimo romanzo della trilogia, ci sarà un altro uditorio ancora, che ora
non posso dirti quale sarà, che ricontestualizzerà il modo in cui leggiamo il primo e il
secondo libro.


GT Eppure, l’unica volta in The Committed in cui vediamo il narratore rivolgersi
direttamente a qualcuno, l’unica volta che dice “tu”, in realtà sta rivolgendosi a sé stesso.


VTN Questo era uno degli ostacoli principali del romanzo per i primi lettori. Avevo un
editore interessato, quando stavamo cercando di piazzare il libro, che mi suggerì con una
certa enfasi di inserire un qualche tipo di relazione, nel romanzo, per il nostro
simpatizzante. Di far sì che interagisse con qualcuno. E la mia risposta fu: “Beh, sta
interagendo con sé stesso”. Che immagino non fosse la risposta che si aspettava. E nella
misura in cui si può affermare che vi sia una componente metafinzionale nei due romanzi,
il suo avere due facce, il suo parlare a sé stesso, è in realtà un’espressione della mia
strategia di scrittura, del fatto che scrivo per me stesso. Questo è parte dell’energia che
alimenta questi libri: mi fa piacere se altre persone li leggono, ma principalmente li scrivo
per me.


GT Mi chiedevo se volessi commentare questo passaggio di The Sympathizer: “Perfino
adesso non posso fare a meno di chiedermi, nello scrivere questa confessione, se sono
padrone di rappresentare me stesso o se questo potere è nelle mani del mio confessore”.


VTN Il narratore sta scrivendo questa confessione, che finirà nelle mani di qualcun altro.
Mentre scrive la confessione, questo “qualcun altro” ne è proprietario, nel senso che, se
vuole, può costringerlo a riscriverla, o può distruggerla. Questo è il contesto immediato,
quello che accade in un campo di rieducazione. In un certo senso, chi scrive la
confessione la possiede. Ma in un certo altro senso non la possiede, perché esercita un
potere molto limitato in quella situazione. Quindi vi è un elemento metafinzionale nel
romanzo, riguardo alla natura del processo creativo, della scrittura, del pubblicare. Per
come la vedo io, questa esperienza della rieducazione, il dover scrivere un libro che sarà
letto da qualcun altro, che lo criticherà, è il peggior laboratorio di scrittura creativa di
sempre. È una trovata scherzosa. Non so se ne ho già parlato…

GT Sì. Ne hai parlato in altre interviste. Il programma del Master of Fine Arts (MFA),
giusto?


VTN Sì, il programma del MFA. Il peggior tipo possibile di programma di Fine Arts. E
naturalmente, quando pubblichi un libro, il libro è tuo o è di qualcun altro? Una volta che il
manoscritto non è più una cosa che hai solo tu, ma è anche in mano ad altre persone che
hanno il potere di apportare cambiamenti, allora il manoscritto non ti appartiene più del
tutto, no?


GT Ho una domanda sul passo che chiude il ventunesimo capitolo, tutta la sequenza dei
“se”. Quando il narratore dice “se il serpente del linguaggio non mi avesse morso”. Mi
interessa questa immagine del linguaggio che diventa un serpente.


VTN Tutta la sequenza dei “se” alla fine ci riporta al libro della Genesi. Il serpente è un
riferimento, ovviamente, ad Adamo ed Eva. Il serpente tenta Eva con la conoscenza, il
frutto dell’albero. Per me il serpente del linguaggio è questo. Il linguaggio è conoscenza,
quindi è un riferimento alla Genesi, e nel romanzo ci sono molti riferimenti biblici e cose
del genere. Ma essere morsi dal serpente del linguaggio va inteso anche, come molte altre
cose nel libro, in senso dualistico. È pericoloso possedere il linguaggio, ma è anche
necessario. Quindi il serpente è, come nella storia di Adamo ed Eva…


GT Satana?

VTN Sì, perché Satana è necessario. Non saremmo umani senza il serpente, il frutto, e la
caduta. E lo stesso vale per lui e il linguaggio. Il linguaggio lo ha spinto su questa strada,
lo ha spinto a scrivere queste confessioni, il che è una cosa potente in un senso, ma
anche molto pericolosa in un altro.


GT Alla fine del tredicesimo capitolo si parla di un sogno in cui si vedono un albero e delle
orecchie mozzate. La mia forse è più una curiosità che una domanda. Da dove viene
questa immagine?


VTN Durante la Guerra del Vietnam giravano molte storie sui soldati americani che
tagliavano orecchie al nemico, giusto? Credo che vi sia un riferimento a questo anche in
Apocalypse Now, ma anche nei racconti dei soldati stessi, nella narrativa e altre cose del
genere. Ma il narratore sta sognando un albero ricoperto di orecchie mozzate, e io ho visto
davvero un albero del genere. Non ricordo dove, probabilmente in Cambogia. Un tipo
particolare di albero, molto nodoso, con tutte queste escrescenze. Credo si tratti di un
banyan. Ma comunque, quando guardi queste escrescenze… mentre le guardavo pensavo
che sembrassero parti di un corpo umano. Sembravano orecchie.


GT Parliamo del campo di rieducazione. Avevi in mente un luogo particolare quando hai
ideato il campo immaginario che vediamo nel romanzo?


VTN Non ho mai visitato un campo di rieducazione. So dove si trovavano, come erano
fatti, ma non volevo entrare nel dettaglio, non volevo fare riferimento ad alcun luogo
geografico in particolare, perché avevo in mente The Waste Land, il poema di T.S. Eliot. Il
campo di rieducazione dovrebbe rievocare The Waste Land, nella doppia accezione del
Vietnam come terra desolata, del paesaggio distrutto dalla guerra e dall’Agente Arancio, e
della terra desolata di Eliot.


GT Il che spiega anche la citazione eliotiana che si legge in uno dei paragrafi iniziali del
romanzo: “Aprile, il mese più crudele”.

VTN Volevo rimanere su un piano mitico, senza impantanarmi nel realismo.


GT E hai quindi basato la struttura, l’idea della confessione come cornice narrativa, sulle
descrizioni che si possono trovare nei memoirs dei sopravvissuti ai campi di rieducazione
che citi nei “Ringraziamenti”, giusto? Lost Years, To Be Made Over, South Wind
Changing…


VTN Sì. Hai letto questi libri?


GT Sì. Tra parentesi, ho scoperto che in South Wind Changing si parla dello zio della mia
fidanzata, e nessuno in famiglia lo sapeva.


VTN Wow!


GT Quindi hai basato la cornice narrativa della confessione su questi memoirs, su come
descrivono il formato delle confessioni estorte ai prigionieri nei campi di rieducazione, che
erano composte da circa trenta pagine, le cose che vi venivano scritte…


VTN Lost Years è stato probabilmente il più importante. Perché si suppone che sia molto
simile a quello che ha scritto Tran Vu nelle sue confessioni quando era prigioniero.
GT Credo, tra l’altro, che il nome fosse uno pseudonimo.


VTN Sarebbe bello scoprire chi fosse veramente. Il suo libro è stato il modello principale.
GT Ovviamente questi due romanzi non sono narrazioni realistiche. In un certo senso, si
può affermare che non siano romanzi storici, fattuali, quanto piuttosto testi che usano la
storia e i fatti storici come materiale di partenza.


VTN Sì.


GT Che mi dici quindi della vicenda della spia Phạm Xuân Ẩn, il vero “simpatizzante”? Che
uso ne hai fatto?


VTN Ho sentito parlare di Phạm Xuân Ẩn molto tempo fa. Se ne parlava nel libro di
Stanley Karnow sul Vietnam, e mi era rimasto impresso, e poi, non ricordo in quale ordine,
ma sono abbastanza sicuro di aver letto le due biografie di Phạm Xuân Ẩn.
GT Quella di Larry Berman?


VTN Quella di Larry Berman, e l’altra scritta da Thomas A. Bass. Lo conosco, ci siamo
incontrati, e il suo libro è in realtà il meno popolare dei due, forse perché quello di Larry
Berman è un libro approvato dallo Stato vietnamita. Lo si può trovare nei negozi di
souvenir in Vietnam, vero?


GT Sì, io l’ho comprato all’aeroporto di Hanoi.


VTN Probabilmente perché dà una versione molto più positiva di Phạm Xuân Ẩn rispetto al
libro di Thomas. Credo di avere letto entrambi prima, o durante, la stesura di The
Sympathizer, non ricordo con precisione quando. Quindi, nello scrivere il libro avevo in
mente questa idea generale di Phạm Xuân Ẩn, che era stato negli Stati Uniti negli anni
Cinquanta. Ma non credo di averne tratto molti dettagli precisi, perché il tipo di attività che
Ẩn stava svolgendo era ovviamente diverso da quello che stava svolgendo la mia spia.
GT Quindi ora stai scrivendo un memoir, giusto? Se non sbaglio si intitola A Man of Two
Faces. Il titolo è ovviamente un riferimento al personaggio.
VTN [Annuisce]


GT In che modo queste due cose si influenzano a vicenda? Scrivere un memoir di finzione
e un memoir vero e proprio? Perché entrambi questi romanzi, nella finzione, sono due
memoirs. Autobiografie, confessioni.

VTN Sì, sono memoirs, sono confessioni. Non sono autobiografici in senso letterale, ma in
senso emotivo e analitico, in quanto sento di avere dato voce a me stesso tramite quel
personaggio. Creare un personaggio di fantasia mi ha dato modo di esprimermi, di dire
tutto quel genere di cose che nella mia veste di professore universitario non avrei avuto la
libertà di dire. Come probabilmente hai già letto, stavolta non dovevo scrivere note a piè di
pagina, potevo dire tutto quello che volevo senza dovere rendere conto di nulla. È stato
molto liberatorio scrivere questi due libri, soprattutto The Sympathizer, e penso che nel
liberarmi scrivendo questi libri ho ottenuto anche la libertà di scrivere di me stesso. E così,
ironia della sorte, scrivendo una narrazione falsamente autobiografica, mi sono concesso
la libertà di scrivere un vero e proprio memoir che parlasse di me. Per questo motivo si
intitola A Man of Two Faces, perché ha un grande debito nei confronti del romanzo e del
simpatizzante, che è il mio alter ego.


GT Una versione più estrema di una qualche parte di te, forse?


VTN Sì, assolutamente.


GT Una domanda sulla struttura. Perché 22/23 capitoli in entrambi i romanzi? Ho letto che
mentre scrivevi la raccolta di racconti The Refugees ti aiutavi con un file Excel, e che hai
preso questa idea da un altro scrittore.


VTN Credo che il file Excel fosse più che altro un database per tenere traccia di tutto. La
prima scrittrice ad averlo utilizzato per quanto ne so è Karen Tei Yamashita, in Tropic of
Orange; lei aveva usato un software della Lotus. Ma credo che originariamente The
Sympathizer fosse strutturato dalla A alla Z, in termini di capitoli, ventisei capitoli, e questo
perché stavo leggendo In culo al mondo di António Lobo Antunes, che ha i capitoli che
vanno dalla A alla Z, se non ricordo male. Credo che in origine vi fossero ventisei capitoli,
ma che nel processo di revisione il mio editor abbia voluto condensare o tagliare un paio di
capitoli fra quelli ambientati nelle Filippine. In realtà mancano due capitoli all’appello, forse
un capitolo e mezzo, nella sequenza delle Filippine, capitoli in cui avevo messo un sacco
di cose che mi sembravano divertenti, ma il mio editor ha ritenuto che quei capitoli non
fossero necessari, quindi sono stati eliminati.


GT Anche questi erano ispirati dal diario di Eleanor Coppola, dalle fonti che citi nei
“Ringraziamenti” di The Sympathizer?


VTN Sì, in parte. C’era una scena in cui “Coppola” diceva: “Ah, gli elicotteri sono forniti
dall’aviazione filippina” e quindi devono andare a combattere una vera insurrezione,
questo succede nei capitoli che non sono stati inseriti. Mi sono divertito molto a scriverli; ci
vanno davvero a sedare la rivolta, e il simpatizzante rimane intrappolato nell’elicottero che
sta per dare l’assalto a una base ribelle, e uccidono i ribelli, e cose di questo genere.
GT Mi piacerebbe leggerli. Soprattutto perché la storia degli elicotteri di Apocalypse Now
forniti dal governo filippino mi è sempre sembrata una cosa folle.


VTN Avevo intenzione di pubblicarli prima o poi, se a qualcuno interessa pubblicarli.
Perché mi piacciono.


GT Un’edizione director’s cut di The Sympathizer?


VTN [ride] No, no. Non credo che il director’s cut di Apocalypse Now, per esempio, sia un
film migliore.


GT Lo penso anch’io.


VTN Quindi non sarebbe un “writer’s cut”, ma vorrei solo infilare da qualche parte questi capitoli aggiuntivi. Forse potrei convincere il mio editor a includere i capitoli in una futura
edizione di The Sympathizer!


GT Intravedi quindi una sorta di architettura interna nei due romanzi? In The Committed
sono presenti delle vere e proprie sezioni. Ma in The Sympathizer no, anche se si può
intuire più o meno che ve ne siano pure in questo caso.


VTN Vi sono delle sezioni. La struttura di fondo di entrambi i libri è una classica struttura
hollywoodiana in tre atti. Questa cosa sicuramente è presente. Ecco perché, ad esempio,
la sezione ambientata nelle Filippine è una chiara demarcazione di sezione. Non ho
sentito il bisogno di inserire dei marcatori in questo libro perché, come ti dicevo, il mio
modello era Lobo Antunes.
GT A, B, C, D, ecc.


VTN Esatto. Nel secondo libro, The Committed, il mio ragionamento nell’elaborare le
diverse sezioni è stato che, in primis, il protagonista è ancora nel pieno di questa sua lotta
con l’identità, è una persona a pezzi, è molto più che “dualistico”. Nel primo libro la cosa è
chiara, è un uomo dai due volti; nel secondo sta ancora subendo gli effetti del trauma,
ancor peggiori che nel primo libro. Quindi, uno dei temi del secondo libro è: dov’è il fondo?
Lui pensa di avere toccato il fondo alla fine del viaggio, ma invece continua a cadere. E
così, ogni volta che tocca il fondo, ogni nuovo “fondo” diventa un elemento della sua
personalità e della sua identità.


GT La frattura inizia nel ventunesimo capitolo di The Sympathizer, no? Il primo capitolo
della scena della tortura, quando parla di sé in terza persona, giusto? “Il prigioniero non
aveva mai… ecc”.


VTN Sì, gli capita ogni genere possibile di dissociazione. Il modo in cui guarda sé stesso,
parla rivolgendosi a sé stesso, in cui si guarda da fuori… E in The Committed si cimenta
con una nuova lingua, con un rinato interesse per la lingua francese. Volevo giocare anche
con questo aspetto, con i vari pronomi francesi usati come marcatori di sezione. Da questo
nascono le varie sezioni del romanzo. Ma i pronomi diversi indicano anche altrettante
svolte nella sua comprensione di sé, nel suo lavoro su sé stesso.


GT Parliamo dei capitoli teatrali. Il capitolo 19 di The Sympathizer, quello immediatamente
successivo alle 295 pagine del manoscritto fittizio, è lì che finisce la confessione.


VTN Il dialogo dell’interrogatorio.


GT La “coda” della confessione.


VTN Sì.


GT Questo sarebbe il materiale che scrive a Saigon, in clandestinità, prima di fuggire dal
paese. Quindi si può dire che lo scriva da uomo libero, giusto? Non ha un uditorio, un
“confessore” qui.


VTN E poi la “sequenza Beckett” alla fine di The Committed.


GT Esatto. Quale è stata l’ispirazione per i capitoli teatrali? Altrove hai detto che queste
scene sono state influenzate da Kafka e dai capitoli del Grande Inquisitore nei Fratelli
Karamazov. Ma nello scriverle pensavi anche a Beckett e Ionesco, che menzioni in The
Committed?


VTN Sì. A Beckett in modo molto esplicito, perché il personaggio sta scrivendo una
confessione, ma sta anche diventando uno scrittore, come sarà ancora più chiaro nel terzo
romanzo. In parte, questo significa anche che sta cercando di spingersi oltre i limiti di ciòche può scrivere. In The Sympathizer ha tutti questi vincoli… ma poi, come hai detto tu,
nella “coda”, è libero di fare ciò che vuole. E non è un romanzo nel senso che non è
limitato dalle convenzioni del romanzo. Penso che si debba scrivere un romanzo in un
certo modo. Quindi, se ho voglia di scrivere una certa cosa, scriverò una certa cosa. E
così, per me come autore, nello scrivere The Committed ero sempre alla ricerca di
influenze diverse, di ispirazioni diverse, perché cerco anche di divertirmi, di andare contro i
vincoli generici del romanzo e contro quelle che ritengo essere le convenzioni della
narrativa americana. E in effetti, sono andato a vedere Happy Days di Beckett a Los
Angeles mentre scrivevo il romanzo, perché pensavo che potesse essermi d’ispirazione.
Avevo visto Happy Days molti anni fa, durante una fellowship al Fine Arts Work Center. E
mi ero addormentato! Ero molto stanco, ok? [ride] Ma in realtà è stato molto più
interessante la seconda volta. Ho pensato che fosse molto bello e che si adattasse
perfettamente all’atmosfera di The Committed. E quindi volevo inglobare Happy Days
dentro il romanzo. Ecco la mia motivazione. Ora, la sua motivazione per scrivere quella
sequenza, non la conosco. È fuori di testa, no? E sta cercando di superare questo trauma
orrendo. E credo che, per come la vede lui, il semplice scrivere in prosa non sarebbe stato
sufficiente per esprimere ciò che gli succede.


GT L’epifania, in entrambi i romanzi, ma in particolare in The Sympathizer, è il
ribaltamento del motto rivoluzionario di Hồ Chí Minh: “Nulla è più importante della libertà e
dell’indipendenza”. Il tema del “nulla”. So che hai tratto ispirazione da una barzelletta che
hai sentito raccontare da qualcuno in Vietnam. Ma mi chiedevo… anche per questo motivo
sto cercando la traduzione in vietnamita di The Sympathizer, vorrei vedere come l’hanno
tradotta. Hai ripetuto spesso di non essere un nichilista, e il personaggio stesso in The
Committed afferma a sua volta di non esserlo. Ma pensavo all’idea di “nulla” nel
buddhismo e nel cattolicesimo, e naturalmente anche nella tradizione filosofica
dell’Occidente. Nella frase originale, “Không có gì quý hơn độc lập, tự do”, la parte iniziale
del costrutto vietnamita che indica il “nulla”, “không”, significa anche “no”, e “zero”, quindi
mi chiedevo… quando grida la parola “nulla” alla fine del capitolo 22, “không có gì”, sta
dicendo letteralmente “non vi è alcuna cosa”. Una negazione. E dato che nel sesto
capitolo si parla anche di Hegel, si potrebbe leggere la trilogia in termini dialettici, no? Tesi,
antitesi, sintesi. E l’antitesi, il secondo romanzo, è la negazione, giusto? Inoltre, l’altro
termine per “il nulla” in vietnamita, il termine sino-vietnamita, è “hư vô”, “vô” come in “Vô
Danh” [lo pseudonimo che il narratore assume in The Committed, che significa “senza
nome”, un termine che si legge spesso nei cimiteri militari sulle tombe dei caduti in
battaglia non identificati].


VTN Parte della sfida nello scrivere questi romanzi è cercare di pensare a cavallo tra
diverse culture, lingue e storie diverse, allo stesso tempo. Quindi è seccante che le
persone vengano a dirmi “lei deve essere un nichilista” dopo aver letto il primo romanzo.
Questa non è mai stata l’intenzione. E difatti, nel processo dialettico ogni termine, ogni
concetto è impregnato di molteplici significati, ed è per questo che “nulla” può avere
molteplici significati, e che ogni contraddizione storica può avere molteplici significati allo
stesso tempo. La negazione è semplicemente parte del processo storico. È necessario
negare la negazione per muoversi in avanti nella Storia. E naturalmente, è tutto connesso,
i collegamenti che stiamo facendo ora; perché essere anonimi, essere senza nome,
significa venire negati in un modo o nell’altro, o tramite la morte o tramite la cancellazione
del proprio nome, o tramite la cancellazione da parte dello Stato. Quindi, la negazione,
come modalità di potere, come modalità di oblio, sono tutte cose legate tra loro. La
dialettica non è solo, per me, la dialettica del marxismo e della lotta di classe. E se
passiamo dal primo al secondo libro… Non volevo scrivere una trilogia riduttivamentemarxista o dialettica, dove l’unica cosa che conta è la classe, la lotta di classe, l’economia.
Questo è certamente importante, ma parte della negazione che avviene nel secondo libro,
l’antitesi, è la distruzione della sua mascolinità, della sua idea di mascolinità e di
sessualità. Quindi, la sintesi nel terzo libro riguarda sì la politica, l’economia e la classe,
ma anche la razza, il genere e la sessualità. Tutto questo sta succedendo o sta per
succedere. Sarà difficile da scrivere. Quando penso alla rivoluzione, la penso come
qualcosa di sistemico, che debba legare tutto insieme, nello stesso modo in cui il
colonialismo legava tutto insieme. Quindi, i collegamenti che fai tu non sono solo gli sforzi
analitici di un critico, penso che siano accurati nel loro far notare che tutti questi filoni
diversi sono lì, simultaneamente. Quanto a me, devo trovare un modo di tirare le fila, di
mettere tutto insieme nell’ultimo libro. In altre parole, la sintesi è semplicemente una fase
di un altro processo dialettico.


GT La mia prossima domanda è in realtà abbastanza collegata a questo discorso. Penso
che la voce del personaggio, finora, sia la tua più grande invenzione. Mi chiedevo… Mi
sono imbattuto in un saggio molto interessante che cita il tuo libro come un esempio di
“literary dubbing”, di “doppiaggio letterario”.


VTN Quello di Ben Tran, giusto?


GT Sì. Nella finzione, il narratore è un personaggio vietnamita che scrive in vietnamita a
un altro personaggio vietnamita. Ma la lingua del romanzo è puro inglese letterario. Quindi,
come senti la sua voce nella sua testa?


VTN Sono uno scrittore americano, uno scrittore vietnamita americano, non uno scrittore
vietnamita. Devo esistere in traduzione, il che è parte della condizione diasporica, di
rifugiato, in cui mi trovo. Tutto ciò che dice Ben Tran sulle complessità di ciò che significa
fingere di scrivere in vietnamita quando sto scrivendo in inglese è vero. Per quanto
riguarda la voce del personaggio, hai ragione, credo che la cosa più importante nello
scrivere questi libri sia stata trovare la voce del personaggio, perché la voce del
personaggio ne rappresenta l’essenza. Lui morirà – a un certo punto, in futuro, non so se
nel terzo romanzo, ma morirà. Quindi, ciò che ci rimarrà di lui sarà la voce. E questo è un
concetto molto potente per me, che “nulla muore mai”. Anche se il corpo muore, la voce
sopravvive. Nel caso dello scrittore, o del “confessore”. Thích Nhất Hạnh è morto di
recente e ha detto: “anche da morto, sarò ancora con tutti voi”, giusto? È lo stesso
concetto. La voce – la sua voce – sopravvive. Quindi, non so come rispondere alla tua
domanda. La sua voce è la sua voce, è inseparabile dal suo personaggio, dalla sua
personalità, dalle sue idee politiche, da tutto ciò che lo riguarda. La voce contiene ogni
cosa, ed è per questo che è stato importante ideare, plasmare la sua voce, perché i lettori
avrebbero amato la sua voce, oppure non l’avrebbero amata, tutto si riduce a questo. E
nel caso l’avessero amata, avrebbero letto tutti i libri. In parte, la sua voce è lui, la sua
storia, le sue convinzioni e tutto il resto. Ma la sua voce è anche il modo in cui usa il
linguaggio. Quindi, il ritmo, la scelta delle parole, sono aspetti assolutamente cruciali, ed è
per questo che, quando mi è venuta l’idea per l’incipit del libro, sapevo che in quella frase
era contenuto il DNA del romanzo.


GT La scrittura del primo romanzo ti ha portato via due anni, giusto?


VTN Sì, due anni e due mesi, qualcosa del genere.


GT Due anni è più o meno lo stesso tempo che impiega il personaggio a scrivere la
confessione. La coincidenza è voluta, l’hai fatto di proposito?


VTN Sì, assolutamente di proposito.

“Il peso della rappresentazione”. Los Angeles, 23 aprile 2023
La mia seconda intervista con Viet Thanh Nguyen ha luogo alla University of Southern
California (USC) di Los Angeles, dove insegna. È una calda mattinata di fine aprile.
All’ombra dei maestosi edifici neo-romanici del campus, torme di curiosi affollano le
bancarelle del Los Angeles Times Festival of Books, la grande fiera del libro losangelina.
Nell’anno trascorso dal nostro primo incontro, l’ultima fatica letteraria di Nguyen, il memoir
A Man of Two Faces, è ora finalmente disponibile per il pre-order, e la HBO ha pubblicato
il teaser trailer ufficiale dell’adattamento televisivo di The Sympathizer, una miniserie
diretta dal pluripremiato regista coreano Park Chan-wook nel cui cast figurano anche
Robert Downey Jr. e Sandra Oh. Nguyen mi riceve nell’elegante green room dell’USC
University Club. Questa volta abbiamo giusto il tempo di una breve chiacchierata prima del
suo panel con la poeta Victoria Chang, e quindi cerco di sfruttare al massimo i minuti che
abbiamo a disposizione.


GT Inizierei con una domanda relativa a un passaggio del tredicesimo capitolo di The
Sympathizer. Qui vediamo gli uomini del Generale, i guerriglieri del Fronte, eseguire
manovre militari “non lontano da una riserva indiana… in un’area (…) che in passato
doveva essere stata utilizzata dalla mafia per seppellire alcune delle sue vittime”. I
riferimenti al genocidio dei nativi americani e al crimine organizzato sembrano delineare
una genealogia della violenza tutta americana, in cui si va a inserire la tua versione
romanzata del Fronte, il Mặt Trận dell’ammiraglio Hoàng Cơ Minh, nella sua accezione di
organizzazione mafiosa, da un lato, e come riferimento all’idea di Richard Slotkin
dell’“uomo che conosce gli indiani”, l’idea della guerra in Vietnam come estensione della
Frontiera americana, “Indian Country”, e così via. Ora, dal momento che non sono riuscito
a trovare alcuna fonte storica sulle esercitazioni del Mặt Trận, non posso fare a meno di
chiedermi se hai fatto riferimento a questa idea della “guerra in Vietnam come estensione
della frontiera americana” di proposito. O si esercitavano davvero nei pressi di una riserva
indiana?


VTN È un riferimento molto deliberato da parte mia al genocidio, per ricordare la storia dei
nativi americani nella regione. E naturalmente nella California meridionale vi sono riserve
di nativi americani a poca distanza da Los Angeles o dall’Orange County. Non so dove si
allenassero gli uomini del Fronte. So che facevano parate e cose simili. Mi sono imbattuto
in questo genere di fonti. Ma non so dove si addestrassero, presumo solo che lo
facessero.


GT Parliamo invece della sequenza della tortura. Ora, sappiamo che nei campi di
rieducazione venivano inflitte punizioni di ogni tipo. Percosse, prigionieri costretti alla
fame, ogni genere di abuso. Tuttavia, non vi è alcun riferimento alla “tortura bianca”, al
manuale KUBARK, alle tecniche di interrogatorio della CIA, in nessuno dei memoirs che
hai usato come fonte.
VTN [Annuisce].


GT Ho scritto al ricercatore Nghia M. Vo, e, a suo dire, i comunisti vietnamiti usavano in
una certa misura le tecniche di privazione del sonno della CIA in – cito dalla sua e-mail –
“centri speciali in cui queste attrezzature venivano utilizzate su un numero selezionato di
persone”. Ora, la mia idea è che la tua sia una licenza poetica, un esempio di quella che
definisco “storia rifratta”, il modo in cui usi la Guerra del Vietnam come una piastra di Petri
per evidenziare continuità sotterranee con le guerre di oggi, in primis la Guerra al Terrore.
È per questo che nel romanzo vediamo i comunisti vietnamiti usare i metodi di
interrogatorio in stile Guantánamo? O hai letto qualche fonte al riguardo?

VTN Ho letto fonti relative al manuale KUBARK, e ho letto il manuale KUBARK. Sapevo
che veniva utilizzato in Vietnam durante la guerra. E poi ho letto Decent Interval di Frank
Snepp, in cui applica – visto che lui faceva parte della CIA, sono tecniche della CIA. Hai
letto il libro?


GT Sì.


VTN E quindi la scena dell’interrogatorio è tratta da quell’interrogatorio e dal KUBARK.
Alcune tecniche KUBARK. Non sapevo se utilizzassero o meno le tecniche della CIA nei
campi di rieducazione. Ho soltanto pensato che vi fosse una buona possibilità che lo
facessero, dato che presumibilmente quelle stesse tecniche di interrogatorio erano state
applicate ai prigionieri Việt Cộng e nordvietnamiti durante la guerra, questa era la mia
ipotesi.
GT Avevi una fonte per questo?


VTN No, la mia era solo una supposizione. Una licenza poetica. GT In realtà ho trovato
altre prove a supporto.


VTN Sì, stavi dicendo che hai scritto a Nghia Vo.


GT Ho anche contattato un altro agente della CIA in pensione, Merle Pribbenow. Mi ha
detto che nel memoir di un famoso disertore comunista, Bui Tin, l’autore parla dell’uso
fatto da parte dei comunisti vietnamiti di tecniche di privazione del sonno durante
l’invasione della Cambogia. Quindi, non posso fare a meno di chiedermi se tu abbia letto
qualcosa a proposito o se si tratta di un’altra intuizione fortunata.


VTN È possibile. A volte mi imbatto in qualcosa e mi chiedo: “L’ho già letto? Ho usato
questa fonte?”. Perché ho letto tantissimo. Ma molto di quello che accade in The
Sympathizer è più che altro frutto di un’ipotesi plausibile. E sono felice di sapere che stai
facendo tu queste ricerche e che hai trovato delle prove a sostegno!
GT Ora veniamo alla sottotrama hollywoodiana. Molti critici definiscono The Hamlet [il film
fittizio che si vede nel romanzo] come una parodia di Apocalypse Now. Ma è una
definizione imprecisa. The Hamlet è più che altro un mostro di Frankenstein le cui membra
sono state prese da almeno altri sette film, stando ai miei calcoli.


VTN Giusto.


GT Il modello principale, tuttavia, è The Green Berets di John Wayne. Ma credo che più
che una parodia di Apocalypse Now la sottotrama hollywoodiana sia un atto di sabotaggio
diretto contro la leggenda che circonda il film.


VTN Giusto.


GT Che nelle tue mani, Francis Ford Coppola diventi il regista di The Green Berets. La
mia idea è che, come The Hamlet è un mix di film sulla guerra, il Grande Autore è una
fusione tra Coppola e lo sceneggiatore di Apocalypse Now, John Milius. Ora le mie due
domande sono: 1) hai letto la sceneggiatura originale di Milius? 2) Il Grande Autore è
davvero una specie di “Francis Ford Milius”?


VTN Non ho letto la sceneggiatura originale. Ho letto dei riferimenti alla sceneggiatura
originale probabilmente in alcuni dei materiali relativi alla realizzazione di Apocalypse Now
che hai letto anche tu, o forse in una delle biografie di Coppola, quando si parla di tutta la
storia della versione di Milius, e la riassumono per sommi capi, e credo di aver visto alcuni
bozzetti originali. E credo che sia tutto qui. Quindi non ho letto la sceneggiatura di Milius.
Esiste?


GT Sì, in più versioni.

VTN Ma per me era sufficiente sapere che esistesse. Non era molto importante per me
leggere la sceneggiatura di Milius. L’idea stessa che esistesse era sufficiente. E poi, come
hai detto tu, questo film è basato sull’intero genere dei film sulla Guerra del Vietnam.
Quindi, non era molto importante per me conoscere nel dettaglio la sceneggiatura di
Milius, ma solo carpire l’idea generale di quello che stava cercando di fare. Grandi
battaglie in stile Seconda guerra mondiale, alla John Wayne, questo tipo di cose. E
guardare The Green Berets è stato sufficiente. Perché sì, The Hamlet è una satira di tutto
quel genere, dell’idea dei Berretti Verdi, della feticizzazione dei Berretti Verdi, della
feticizzazione di un certo tipo di recitazione, il method acting, quel genere di cose alla
Marlon Brando. E la satira sul Grande Autore, il personaggio del Grande Autore, al tempo
mentre lo scrivevo era probabilmente una fusione di Coppola e Milius, sì, ma ora,
retrospettivamente, può anche includere Oliver Stone. Con tutto quello che ho sentito dire
su Oliver Stone, e con tutto ciò che ho appreso nel mio breve contatto a distanza con lui,
penso che gli calzerebbe addosso alla perfezione! Avrei dovuto presentare il Grande
Autore come un reduce di guerra, ma all’epoca non ci ho pensato – perché Stone è un ex
combattente.


GT Mentre invece il Grande Autore è uno col pallino della guerra che non ha mai prestato
servizio nelle forze armate – un po’ come Milius.


VTN Sì.


GT Un’altra domanda su The Hamlet. Nel film fittizio il personaggio di Jay Bellamy vendica
Will Shamus ordinando un attacco Arc Light, come accade nel finale alternativo di
Apocalypse Now, durante i titoli di coda. Non è la prima né l’ultima volta che ricentri la
violenza, che vediamo gli americani uccidere i vietnamiti invece che gli americani uccidere
gli americani come in Apocalypse Now. In The Hamlet gli americani non combattono sé
stessi “perché il nemico è dentro di loro” come accade in film come Platoon, giusto?
Uccidono i vietnamiti e basta. Il messaggio di The Hamlet è molto chiaro: “Dobbiamo
salvare gli asiatici buoni uccidendo gli asiatici cattivi”. L’hai fatto di proposito?


VTN Sì, ma anche in modo molto istintivo. Credo di avere assorbito a tal punto la mia
stessa critica che non ho avuto bisogno di pensarci sopra, era molto chiaro, molto ovvio
sin dal principio, avrebbero dovuto uccidere i vietnamiti. Ecco perché nell’unico estratto di
sceneggiatura che abbiamo, il Mattatore viene ucciso da una donna vietnamita. È anche
un riferimento a tutta quella serie di scene in cui le donne vietnamite uccidono soldati
americani. Ho visto tantissimi film di guerra, e a volte li ho visti da bambino. Non sempre
so quali siano questi film, ma credo di aver visto, a un certo punto, un film di guerra in
bianco e nero. Credo che fosse un film sulla Guerra di Corea, forse un film con Angie
Dickinson, ma non China Gate. Il film finiva con un attacco a tradimento ai soldati
americani, uno di loro veniva ucciso da qualcuno che si fingeva morto. Mi è rimasto
impresso, e volevo inserirlo nel libro. Ma l’idea che qualcuno ti spari alla schiena, qualcuno
che pensavi fosse già morto, una donna, credo sia un topos comune, la cosa del cattivo
che continua a tornare.


GT È anche un topos del western, come mi è stato fatto notare da uno dei revisori della
mia tesi di dottorato.


VTN Sono tutte cose collegate in vari modi. Comunque, l’ho tratto da lì. A proposito, l’altro
film a cui The Hamlet fa riferimento è Tropic Thunder. Vi è un riferimento molto
intenzionale a Tropic Thunder. Il che è molto ironico, dato che Robert Downey Jr. compare
nell’adattamento HBO di The Sympathizer. Ho modellato l’intero rapporto tra Bellamy e
Shamus un po’ su quello che lega i personaggi di Ben Stiller e Robert Downey Jr. dentro
Tropic Thunder, la recitazione esagerata, e via dicendo. Il personaggio del Mattatore

nasce da lì, quindi è un riferimento non solo ad Apocalypse Now, ma anche a Tropic
Thunder. Il che è un’ulteriore stranezza, il fatto che proprio Robert Downey Jr. interpreti
questo ruolo.


GT E anche il fatto che in origine era previsto che [la diva sudvietnamita degli anni
Sessanta/Settanta] Kiều Chinh fosse la consulente cinematografica per Apocalypse Now,
che avesse un piccolo ruolo nel film di Coppola, e che ora abbia a sua volta una parte
nella serie televisiva tratta da The Sympathizer.


VTN Sì.


GT Mi sembra che nel romanzo la questione della non-rappresentabilità della guerra sia
intesa come una questione politica piuttosto che filosofica. Il problema non sembra essere
tanto “si può rappresentare la guerra in Vietnam?”, quanto “quale rappresentazione della
guerra in Vietnam ha avuto la meglio sulle altre”. Secondo te The Sympathizer è un
romanzo antirealista?


VTN Beh, credo che funzioni sia sul piano del realismo che dell’antirealismo, perché è un
richiamo molto consapevole a certi generi, come il romanzo di spionaggio, il romanzo di
guerra, le storie di rifugiati, in cui il realismo è importante. Quindi, per creare la finzione di
The Sympathizer come romanzo di spionaggio, sono dovuto ricorrere a determinate
convenzioni realiste. In questo senso, The Sympathizer funziona come un romanzo
realista. Ma sono presenti cenni di antirealismo, ad esempio la sequenza della tortura, che
è un richiamo consapevole a Invisible Man di Ralph Ellison. Invisible Man funziona come
un esempio di realismo e surrealismo allo stesso tempo perché è un romanzo modernista,
un certo tipo di romanzo modernista, e The Sympathizer funziona allo stesso modo. Non
ero interessato a scrivere un romanzo puramente realista perché, se guardiamo alla
tradizione romanzesca relativa alla Guerra del Vietnam, le narrazioni dominanti, i romanzi
americani sulla Guerra del Vietnam, i più importanti, sono assolutamente realisti. Mentre
l’approccio che alcuni hanno adottato nei confronti della Guerra del Vietnam, dicendo che
è una guerra surreale, che solo il surrealismo può rendere l’esperienza della guerra, mi
sembra corretto. Per esempio Dispatches di Michael Herr e Apocalypse Now. Quando vidi
Apocalypse Now da bambino, il film mi lasciò completamente disorientato, ma capii
almeno la prima metà. La seconda metà diventava sempre più strana e non la capivo, e
ho pensato: “Beh, credo che Coppola ci abbia visto giusto, almeno dal punto di vista
formale, in questo senso”. The Sympathizer dovrebbe funzionare a entrambi i livelli, nel
senso che uno segue la trama ma poi le cose iniziano a farsi strane. Per alcuni lettori,
forse troppo strane. Ma avevo in mente anche altri esempi di letteratura contro la guerra
che funzionano in questo stesso modo.

GT Catch-22, forse?


VTN Catch-22 è stato di grande ispirazione, ma anche Viaggio al termine della notte di
Céline. Le prime cento pagine hanno avuto una grande influenza su di me perché è
surreale, ciò che accade non è realistico, non può accadere realisticamente. Questi testi
hanno avuto un maggiore impatto su di me rispetto ai romanzi puramente realisti.


GT Ripeti spesso che non volevi scrivere un romanzo storico, ma un romanzo di guerra.
The Sympathizer rifiuta i vincoli dell’accuratezza storica?


VTN Sì, non credo sia soggetto ai vincoli della correttezza storica. Come ti dicevo, a volte
facevo congetture, inventavo delle cose, e pensavo che non importa se queste persone,
queste cose sono realmente accadute o meno perché la realtà della situazione è
sufficiente per portarmi a credere che sarebbero potute accadere, potrebbero essere
accadute. In questo senso, penso che il romanzo sia storicamente accurato, anche se non

posso necessariamente dimostrare, come magari puoi riuscire a fare tu, con note a piè di
pagina e via dicendo, che certe cose sono accadute esattamente in un certo modo, e mi
sta bene così.
GT Fino a che punto, invece, si può affermare che il romanzo sia metafinzionale?


VTN Penso che sia molto metafinzionale. Sono presenti richiami molto consapevoli a tanta
letteratura. Oltre a ciò, è metafinzionale anche nel senso che scrivere il libro come una
confessione è un’allusione a una forma letteraria molto specifica, che è radicata nella
storia – la confessione dei campi di rieducazione – un genere che ho sempre ritenuto
molto interessante. È un genere che esiste al di fuori di ogni archivio, a cui ha dovuto
contribuire un numero enorme di persone. Stando a quanto affermano molti di quelli che
hanno scritto queste confessioni, queste erano opere di immaginazione, di finzione. O di
semi-finzione. Si inventavano cose per placare le “critiche”. Credo che questo faccia
consapevolmente parte del romanzo. Ed è questo che, secondo me, lo rende
metafinzionale più di ogni altra cosa: il suo sfruttare la forma letteraria dell’autocritica. Si
tratta di un genere molto specifico, a cui questo libro fa riferimento in modo molto esplicito,
e questo genere è esso stesso un’imposizione fittizia, imposta dallo Stato.


GT Pensavo a questo perché ho trovato un episodio in uno dei memoirs in cui il memoirist
parla di un altro prigioniero che aveva scritto una confessione “spessa quanto un libro”.


VTN Ho letto un resoconto molto lungo dell’esperienza dei campi di rieducazione, Lost
Years di Tran Tri Vu. Mi è rimasto impresso. Dovrei dedicargli una seconda lettura. Ce l’ho
sullo scaffale, ma non l’ho più riaperto. È a sua volta un libro enorme su un’esperienza
estenuante. A quanto ne so, è il miglior resoconto che abbiamo a proposito dei campi di
rieducazione.


GT Intendevo proprio quello. Tornando alla metafinzione del campo come workshop MFA,
l’idea che il Commissario e il Comandante siano…


VTN Leader MFA della peggior specie, sì.


GT Mi interessavano le differenze tra loro. Da un lato, il Comandante è molto dogmatico,
mentre Man, dato che ovviamente conosce il protagonista, è più comprensivo. Dovrebbero
ricoprire dei ruoli determinati nell’economia del workshop?


VTN Giocano al poliziotto buono e al poliziotto cattivo. Da un lato abbiamo tutta la
dimensione dell’interrogatorio. E poi un’altra versione di quella dualità che è uno dei temi
del romanzo. Quando si parla di workshop MFA, a volte si sente parlare di professori del
tipo poliziotto cattivo/poliziotto buono che orchestrano la cosa. Alcuni di loro tendono alla
critica brutale e altri alla persuasione, no? In mezzo vi è un’intera gamma di possibilità. In
un certo senso, ciò che accade nel romanzo non è una replica perfetta del workshop,
perché si suppone che il laboratorio di scrittura creativa sia, come dire, semi-democratico.
Sono presenti molte altre persone e le sessioni di autocritica dovevano svolgersi in modo
molto simile. C’era un gruppo di persone che leggeva il tuo lavoro. Ma questo non avrebbe
funzionato bene nel romanzo.


GT Perché lui viene tenuto in isolamento.


VTN Sì, riceve il trattamento speciale, come se fosse lo studente migliore tra tutti quelli
rinchiusi nel campo di rieducazione. Ma ovviamente il trattamento migliore in questo caso
è il trattamento peggiore.

GT Che mi dici dei nomi? C’è un significato dietro “Bon” o “Man”, come per esempio vi è
dietro il nome “Will Shamus”?


VTN Sì, “Shamus” è ovvio. “Bon” e “Man” li ho scelti perché funzionano anche in inglese.
Bon richiama anche il personaggio di Charles Bon in Absalom, Absalom! di Faulkner, ma
“bốn” è un numero, il numero quattro, ed è una coincidenza che sia un numero; si sposa
bene ai riferimenti in inglese e francese.


GT A proposito del numero quattro, ho pensato al fatto che sono tre amici, ma uno di loro
è un uomo “che ha due facce e due menti”. Quindi in realtà sono in quattro!
VTN Vai fino in fondo! Fantastico! A proposito di Man, ci sono due versioni del suo nome,
la gente mi ha chiesto se è “Mẫn” o “Mạn”? Non mi interessa. In realtà non conosco il
significato vietnamita di queste parole. So solo che mi sono imbattuto in persone che
avevano questi nomi, e che funziona con la parola “man”.


GT A questo proposito, in che senso “Man” va inteso come “uomo”?


VTN L’umanità. Puoi estrapolare da questo ogni significato che vuoi. Il nostro narratore è il
dualismo incarnato, mentre Bon ha un’unica mente e un unico scopo. Ma anche Man – lo
chiamerò “Mẫn” – visto che è così che sarà chiamato nella serie televisiva, è un uomo
dualistico a sua volta. Ho qualche idea sul suo destino nel terzo romanzo, è un
personaggio che a sua volta rappresenta un po’ la dualità dell’uomo. Il Comandante è più
lo stereotipo del rivoluzionario, uno stereotipo che non trovo interessante. È ciò che la
rivoluzione vuole ufficialmente, il dogma. Ma Man è molto più ambivalente. È un
sopravvissuto. Sa come aggirare il sistema, e anche se è un uomo dualistico, che ha in sé
un senso di ambivalenza, non ne viene sopraffatto.


GT E gli altri personaggi? La maggior parte ha dei “nomi-funzione”: il Generale, il
Comandante, ecc. A volte si ha l’impressione che non siano personaggi ma allegorie,
astrazioni, concetti personificati. Il Grande Autore è Hollywood. Il Deputato è… Dovrebbe
ricordare Richard Armitage?


VTN No, non Armitage. Bob Dornan. Era un deputato di Orange County soprannominato
“B-52 Bob”. È lui l’ispirazione per “Napalm Ned”. Esiste realmente.
GT Si ha quindi l’impressione che tu abbia caratterizzato di proposito questi personaggi
come degli stereotipi, delle macchiette.


VTN Sì, perché molti personaggi reali stanno bene nei loro panni. Ecco perché quando mi
chiedono se il Grande Autore è Francis Ford Coppola, io rispondo loro “Sì e no”. Puoi
metterci tranquillamente dentro anche Oliver Stone. Il Generale è Nguyễn Cao Kỳ, ma è
anche l’uomo che era a capo delle Forze Speciali, e tutti gli altri generali sudvietnamiti
coinvolti nei colpi di stato, in tutto quel tipo di vicende. Non ho voluto dare loro dei nomi
perché non mi interessava la loro personalità individuale, diversamente dal caso di Man e
Bon.


GT A proposito, nella traduzione pirata in vietnamita il traduttore riporta i nomi di Man e
Bon senza accenti diacritici, rendendo quindi possibile l’ambivalenza di significato a cui
facevi riferimento.


VTN Interessante scelta di traduzione. Ho la traduzione ufficiale, dovrei andare a vedere
come sono scritti i nomi. Mi piacerebbe vederla pubblicata prima dell’uscita della serie, ma
non ho il tempo di andare a negoziare con l’editore e vedere se la traduzione è buona. E
poi sarei io il responsabile, in caso la traduzione fosse sbagliata la gente verrebbe a dare

la colpa a me. Per me è un enorme grattacapo in questo momento, ma le cose sembrano
migliorare, quindi magari potremo farcela per tempo.
GT È buffo sai, ripeti spesso che hai scritto The Sympathizer perché non volevi scrivere un
libro con le note a piè di pagina, giusto? Quella traduzione pirata è piena di note a piè di
pagina!


VTN Davvero? In vietnamita? Cosa spiegano?


GT Riferimenti culturali americani che forse il lettore vietnamita medio non potrebbe
cogliere, informazioni storiche, dove si trovava il quartier generale della Sezione speciale a
Saigon, cose di questo genere.


VTN Interessante. Non ho una copia di questa traduzione, quindi non sono sicuro di che
cosa ci sia scritto o di come sia fatta.


GT Tornando a Coppola, in tutte le fonti che menzioni nei “Ringraziamenti” vi è sempre
questa leggenda della realizzazione eroica del film, di Coppola che rischia tutto, ecc. Nel
romanzo la leggenda assume piuttosto i connotati di una farsa. Tutte le fonti riportano la
paura di Coppola di realizzare un film “pomposo”; quindi, è come se tramite la finzione
romanzesca tu avessi realizzato questa sua paura. Lo hai fatto di proposito?
VTN Certo. È pensata come una satira, come una vendetta. Quindi, ovviamente, nel
caratterizzarlo ho voluto esagerare, ponendo l’enfasi sul suo ego e tutto il resto. Nella
versione televisiva la cosa sarà ancora più sopra le righe, perché è Robert Downey Jr. a
interpretarlo, e lui ha calcato la mano, l’ho visto calarsi nel ruolo. Sarà divertente, credo. Vi
saranno risvolti meta-cinematografici. Quando eravamo sul set tutta la gente, non solo io,
era confusa durante le riprese di The Hamlet in merito a quale fosse lo show televisivo e
quale il film, perché era come se la troupe del film stesse riprendendo la troupe del film. È
stato divertente vedere accadere questa cosa, anche per me.
GT Un’ultima domanda. Ho letto nel diario di Eleanor Coppola che vi era realmente un
consulente vietnamita che gestiva le comparse sul set di Apocalypse Now. Hai tratto
spunto da questo?


VTN Credo di averne sentito parlare, ma ho dato per scontato che vi fosse. Dal momento
che avevano trovato dei rifugiati vietnamiti per quel ruolo, era abbastanza ovvio che
avessero anche trovato qualcuno che se ne occupasse.
GT È come se avessi dato vita a una sorta di fantasia di vendetta. Un professore di studi
etnici dei giorni nostri trasportato magicamente negli anni Settanta, che critica il film
mentre viene girato, invece che trent’anni dopo in un’aula universitaria.
VTN Ho creato un personaggio che potesse ragionevolmente dire certe cose. Non l’ho
pensato come un professore di studi etnici, ma come una mia propaggine, un mio alter
ego. Ho pensato che sarebbe stato più interessante… Beh, prima di tutto, molte delle
persone che lavorano come consulenti sui set, è probabile che siano consapevoli della
posizione ambivalente che ricoprono. Sono consapevoli di dare autenticità al prodotto,
un’autenticità di cui in realtà non interessa nulla a nessuno quando si arriva al dunque. In
una certa misura sta accadendo anche nella versione televisiva di The Sympathizer, non
in modo così estremo, ma così ho sentito dire. Le persone coinvolte stanno dicendo:
“Sentite, c’è bisogno di più consulenti vietnamiti che garantiscano l’autenticità, non meno”.
Ma non sono disposti a pagare per questo, giusto? Vi è un po’ questa sensazione che si
voglia investire tutto il budget previsto per questa ricerca di autenticità puntando su una

sola persona che rappresenti un’intera razza, e anche questo fa parte del discorso sul
peso della rappresentazione, rispetto magari alla possibilità di avere un intero dipartimento
addetto all’autenticità. Perché avere un solo consulente? Quindi, volevo amplificare questo
ruolo, del “consulente invisibile” che si rende conto delle complicazioni inerenti alla sua
posizione.
GT Beh, ancora una volta grazie mille!

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