Winner of the Pulitzer Prize

“Do not believe Coppola the real Vietnam I’ll tell it”

Annarita Briganti discusses The Sympathizer with Viet Thanh Nguyen in this interview for La Repubblica.

DA PROFUGO a Premio Pulitzer. La storia di Viet Thanh Nguyen, classe ‘71, primo vietnamita- americano a vincere il prestigioso riconoscimento, è un romanzo a parte. L’autore di Il simpatizzante (Neri Pozza, traduzione dall’inglese di Luca Briasco), quarantamila copie vendute solo in Italia, pubblicato in oltre venti Paesi, è arrivato negli Stati Uniti a quattro anni, costretto per alcuni mesi a vivere separato dai suoi genitori, con i quali poi si è ricongiunto. Non stupisce che Nguyen, da grande, abbia scelto di occuparsi di rifugiati sia nella sua carriera accademica – insegna English and American Studies and Ethnicity alla University of Southern California – sia nei suoi testi. Residente a Los Angeles, lo scrittore riesce, nel Simpatizzante, a porre delle domande attuali, il che spiega il successo. “Che cosa fanno le persone che lottano contro il potere, quando lo conquistano? Perché chi reclama l’indipendenza e la libertà `finisce sempre per privarne gli altri?”, come si legge a un certo punto dell’opera, coraggiosa, in linea con il tema della Milanesiana, che ospita stasera un suo reading al Teatro Franco Parenti Quale Vietnam racconta nel suo primo romanzo?

«Ne parlo, mischiando fatti realmente accaduti e fiction, in un lungo arco di tempo, che va dal 1945 al 1980. Il 1945 segna l’inizio della rivoluzione vietnamita contro la colononizzazione francese, che finì nel 1954. Dopo i francesi, arrivarono gli americani, fino al 1973. Questi ultimi sostenevano il Sud del Vietnam contro il Nord comunista, ma nel 1975 il Nord ebbe la meglio e conquistò l’intero Paese. Il periodo dal 1975 al 1980 vide i vietnamiti vincitori compiere gesti molto crudeli nei confronti dei vietnamiti sconfitti».

Com’è la situazione attuale?

«Il Vietnam è gestito da un governo comunista, ma, ironia della sorte, si sta affermando l’economia capitalista per cui c’è una tensione continua tra la politica, che vorrebbe controllare la società, e la società, che va per conto suo. Ci sono tornato spesso, dal 2002 al 2012, per fare ricerche. Ho scritto il Simpatizzante ad Hanoi. Poi, è diventato pericoloso tornare in patria. Alcune copie del mio libro, in inglese, circolano tra i lettori che capiscono quella lingua, ma molti mi dicono che sia stato censurato, nel senso che è impossibile trovarlo nelle librerie del posto, o che addirittura sia stato confiscato a chi lo avesse, in qualche modo, acquistato».

Come ha fatto a conquistare il pubblico con uno dei conflitti più sfruttato, in particolare dal cinema hollywoodiano?

«Ovunque vada, a Parigi, in Israele, c’è gente che ha visto i film sulla Guerra del Vietnam, da Apocalypse Now in poi, ma si tratta di una narrazione piena di bugie, che rappresenta solo la visione americana di quanto è accaduto. Il nostro punto di vista non l’aveva raccontato ancora nessuno, addirittura a volte non usavano neanche attori vietnamiti per interpretare il mio popolo».

Perché tifiamo per il protagonista, nonostante tutte le cose brutte che fa?

«Il protagonista è una spia, un doppiogiochista, un uomo con due menti, come si definisce lui. Incerto su quale lato della Storia sia quello giusto, simpatizza per entrambi. Mi sono divertito molto a scriverne. Empatizzo più facilmente con i personaggi complessi, che si trovano di fronte ai dilemmi della vita».

Quanto c’è di autobiografico?

«Non sono alcolista, playboy, bugiardo né spia e assassino, come il Simpatizzante, ma ho messo in lui le sensazioni che io stesso ho provato da profugo. In casa dei miei genitori, vietnamiti, ero quello che si comportava da americano. Fuori, ero il vietnamita che osservava gli americani, cercando d’integrarsi in una società in cui tuttora mi discriminano anche solo per la mia faccia. Mi sentivo perennemente una spia e ho capito, scrivendone, che la disumanità, non solo negli Stati Uniti, ma ormai in tutto il mondo, fa parte dell’umanità».

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